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Le mura di Sana'a
Trovato sul mulo
- Scheda del film -
Documentario in forma di appello all'UNESCO
Regia e commento Pier Paolo Pasolini; fotografia Tonino Delli Colli; montaggio Tatiana Casini Morigi.
Produzione Rosima Amstalt; produttore Franco Rossellini; pellicola Kodak Eastmancolor; formato 35 mm, colore; macchine da ripresa Arriflex; sincronizzazione Cinefonico Palatino.
Riprese domenica 18 ottobre 1970, esterni Sana'a (Yemen del Nord), Adramaut (Yemen del Sud); durata 13 minuti e 20 secondi.
- Trama -
Nel corso della lavorazione del Decameron, alla fine delle riprese effettuate nello Yemen, Pasolini girò il film-documentario Le mura di Sana'a.
?Era l'ultima domenica che passavamo a Sana'a, capitale dello Yemen del Nord?, disse Pasolini. ?Avevo un po' di pellicola avanzata dalle riprese del film. Teoricamente non avrei dovuto possedere l'energia per mettermi a fare anche questo documentario; e neanche la forza fisica, che è il requisito minimo. Invece energia e forza fisica mi son bastate, o perlomeno le ho fatte bastare. Ci tenevo troppo a girare questo documento.
?Si tratterà forse di una deformazione professionale, ma i problemi di Sana'a li sentivo come problemi miei. La deturpazione che come una lebbra la sta invadendo, mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di far qualcosa, da cui sono stato perentoriamente costretto a filmare [?] Ma è chiaro che se volessi veramente ottenere qualcosa, dovrei dedicare a questo scopo la mia intera vita. Son cose che qualche volta si pensano ma poi non si fanno. Frustrazione terribile, ma consolata dal pensiero che ci sono persone che, in realtà , per mestiere dovrebbero occuparsi di questi problemi e che dunque la responsabilità è dovuta a loro [?]
?Ma intanto ogni giorno che passa è un pezzo delle mura di Sana'a che crolla o vien nascosto da una catapecchia 'moderna'. [?] È uno dei miei sogni occuparmi di salvare Sana'a ed altre città , i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l'Unesco?.
Recentemente la Rai ha riproposto le suggestive immagini di questo film-documentario, tra le quali sono grandemente apprezzabili soprattutto quelle che mostrano in infiniti dettagli i particolari dei palazzi antichissimi della città (le forme e le decorazioni delle finestre e delle sovrastrutture poste in alto ai palazzi stessi ? che per qualche aspetto ricordano i ?pizzi? delle decorazioni di alcune case veneziane ? e le tinteggiature uniformi e ?calde?, tutti simboli di una grande ed evoluta cultura).
Notevole e commosso è il commento di Pasolini, che, utilizzando la sua stessa voce, si appella all'Unesco perché protegga quelle bellezze, le conservi e le salvaguardi quali patrimonio storico-culturale dell'intera umanità .
Le origini leggendarie di Sana'a, la capitale dello Yemen, risalgono a Sem, figlio maggiore di Noè e capostipite delle popolazioni semite, che un giorno decise di abbandonare il suo paese per trasferirsi a sud. Oltre il Rub al-Khall, il terribile deserto arabico, trovò una terra di alte montagne e valli fertili e decise di fondare una città , Sana'a.
L'accorato appello di Pasolini ha avuto dunque un seguito positivo. Dopo essere stata oggetto di un'attiva campagna di promozione promossa dall'Unesco - l'organismo internazionale al quale appunto Pasolini si appellò - la città vecchia di Sana'a,
per le sue preziose testimonianze artistiche, è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità nel 1986.
Nell?ottobre del 1970 Pier Paolo Pasolini gira a Sana?a, capitale dello Yemen del Nord, alcune scene del film Il fiore delle Mille e una notte; domenica 18 ottobre, terminate le riprese, utilizza la pellicola avanzata per girare 13 minuti di documentario, che intitola Le mura di Sana?a.
Il filmato non è mai uscito nei circuiti commerciali; è stato trasmesso dalla Rai il 16 febbraio 1971 e replicato nel 1997.
Nel commentare il documentario, Pasolini legge il seguente Appello all?Unesco:
«Ci rivolgiamo all?Unesco perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione, cominciata con la distruzione delle mura di Sana?a.
Ci rivolgiamo all?Unesco perché aiuti lo Yemen ad avere coscienza della sua identità e del paese prezioso che esso è.
Ci rivolgiamo all?Unesco perché contribuisca a fermare una miseranda speculazione in un paese dove nessuno la denuncia.
Ci rivolgiamo all?Unesco perché trovi la possibilità di dare a questa nuova nazione la coscienza di essere un bene comune dell?umanità , e di dover proteggersi per restarlo.
Ci rivolgiamo all?Unesco perché intervenga finché è in tempo a convincere una ancora ingenua classe dirigente che la sola ricchezza dello Yemen è la sua bellezza; che conservare tale bellezza significa oltretutto possedere una risorsa economica che non costa nulla, e che lo Yemen è in tempo a non commettere gli errori commessi dagli altri paesi.
Ci rivolgiamo all?Unesco in nome della vera se pur ancora inespressa volontà del popolo yemenita, in nome degli uomini semplici che la povertà ha mantenuto puri, in nome della grazia dei secoli oscuri, in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato».
Nel 1984 il sogno di Pasolini, in qualche modo, con legittimo scetticismo, prende finalmente forma. (Quanto alla sostanza, il tempo ci dirà ?) L?Unesco lancia una campagna internazionale per la conservazione e il restauro di Sana?a. Il 6 aprile 1988 una delegazione ufficiale composta tra gli altri da Romano Prodi, presidente dell?Iri, da Umberto Sisinni, direttore generale del Ministero dei beni culturali, e dal Fondo Pier Paolo Pasolini, rappresentato da Laura Betti, Francesca Sanvitale ed Enzo Siciliano, si reca a Sana?a. Spetta infatti all?Italia iniziare una parte del progetto complessivo con il restauro di un?area pilota. Un preventivo di circa quindici miliardi di lire per complessivi due anni di lavoro, a cura delle società Bonifica e Italstat e dello Studio Quaroni di Roma.
Il documentario Le mura di Sana?a fu sottotitolato in arabo e donato al direttore del progetto di salvaguardia della città , Abdulrahman Al-Haddad, il quale, durante la cerimonia, dichiarò: ?Dobbiamo tutto a Pasolini, che ha messo in moto la solidarietà internazionale sul problema della salvaguardia della nostra città ?.
Il 6 settembre 1988, alla Mostra del Cinema di Venezia, le giurie per i ?Premi Pier Paolo Pasolini? (tesi di laurea e poesia) consegnarono a Abdulrahman Al-Haddad dieci milioni di lire come contributo alla ristrutturazione della Samsarah Yanhya Bin Quasim, un piccolo albergo ?dove Pasolini pensava di inventarsi una ?vita futura? ??
QUOTE:
Le mura di Sana'a
"il Messaggero" del 3 Aprile 2000
Per contribuire alla difesa dello Yemen Pasolini realizzò nel 1971 il cortometraggio Le mura di Sana?a, documentario in forma di appello all? Unesco.
Girò inoltre in Yemen alcuni dei suoi momenti cinematografici più alti
come ad esempio Il fiore delle Mille e una notte
Pasolini l?aveva capito, Moravia anche. I soli a non rendersene conto, se non con rabbia, sono stati forse i primi governanti moderni dello Yemen che, alla fine degli anni '60, si diedero a distruggere le antiche architetture per elevare casermoni bulgaro-coreani. E non a caso il salvataggio del patrimonio yemenita è oggi una delle grandi preoccupazioni dell?Unesco. Un patrimonio unico al mondo, un esempio vivente, soprattutto in architettura, di come si operasse nel passato. Perché, fino a pochi decenni fa, e in gran parte anche ora, lo Yemen, paese dei profumi e degli incensi, viveva ancora in un?epoca lontana. Come se l?Italia fosse passata in meno di 40 anni dal 1400 all?oggi, senza elaborare nessun anticorpo contro i virus della modernità . Grattacieli di fango, torri da Mille e una notte e quindi il deserto, il più implacabile e sconosciuto.
Eppure un deserto vivo, capace di rovesciare a ondate fiumi di popoli che noi conosciamo bene: accadi, babilonesi, assiri. «È il deserto - spiega il professor Alessandro de Maigret, nome francese, parlata fiorentina, cattedra napoletana - che ha prodotto le genti che occuparono la fertile Mezzaluna, che costituirono tante civiltà del Medio Oriente. E fu sempre il deserto che ha partorito le civiltà sudarabiche». De Maigret ci elenca nomi antichi, quelli della Bibbia, degli antichi portolani dei naviganti, le storie dei magi e dei mercanti: Sabei, Minei, Hymariti... In quell?angolo del mondo sorsero imperi antichissimi, regni che connettevano le civiltà della Valle dell?Indo con l?Africa, stati scomparsi sotto la sabbia ma che hanno lasciato lo stesso alfabeto all?Etiopia e a Saba, che hanno barattato l?oro del nord con gli aromi del sud. De Maigret e gli italiani scavano tra le sabbie e le montagne yemenite fin dal 1980 e hanno contribuito ad aggiungere una nuova famiglia a quelle che costituiscono la nostra civiltà (gli scavi di Baraqesh, i graffiti di Yalà sono tra i loro successi).
Noi sappiamo che i pilastri della civiltà occidentale, quello greco, quello ebraico, quello romano, poggiano su strati più profondi: Mesopotamia, Anatolia, Egitto. Oggi scopriamo un altro basamento, quello sudarabico, così lontano e così vicino. Terra di favola, ma di favola in qualche modo nostra, se è vero che l?incenso e la mirra offerti a Betlemme venivano da qui, se è vero che la regina di Saba visitò Salomone e fino a ieri i re dei re di Etiopia (titolo persiano arrivato attraverso lo Yemen) vantavano di discendere da loro.
«Ma fu la pietra il materiale in cui essi si riconoscevano - spiega de Maigret -, il durissimo granito e l?alabastro traslucido. Gente venuta dalla sabbia del deserto che si sentiva in qualche modo simile al sasso del deserto. Gente che fu unica nel costruire vie commerciali e nell?imbrigliare le acque». Quando i Persiani, nel V-IV secolo a.C, si impadronirono della via delle spezie e dei profumi i sudarabici seppero aggirarli passando per l?Africa e scendendo poi il Nilo. Gente che seppe rendere viva e fertile la sua terra costruendo dighe gigantesche. Dighe erette con le mani i cui resti lasciano ancora stupiti, come a Marib, come nelle tuttora vive cisterne a gradini dei piccoli paesi.
Certo: l?ebraismo e l?islam hanno portato questa lezione fin nel cuore del mondo, ma una delle radici di questo modo di intendere la fede in un dio irrappresentabile e ineffabile è qui. Un paesaggio completamente formato dal lavoro umano, un?architettura insieme mimetica e vivacissima. Quelle torri da leggenda, quelle case refrigerate con un uso sapiente della pietra traforata, quelle mura di fango più resistente del sasso. Una serie di immagini di un mondo che ha saputo fare della necessità arte e dell?intelligenza strumento di vita. Un mondo, è il caso di ricordarlo, arabo e islamico dove gli ebrei vivono in pace da forse duemila anni. Un mondo che non spreca una goccia d?acqua e che forse ha una lezione per questa modernità sempre più assetata. Ecco perché Pasolini, e Moravia, e Quilici ne furono affascinati.
- Scheda tecnica del DivX -
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